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Aggiornamento al 29 dicembre 2020

 

Tra le più recenti pronunce che si sono avute sull’argomento cannabis light possiamo senz’altro citare il Decreto del 4 novembre 2019 del ministero della Salute, il quale si pronuncia sulla “Definizione di livelli massimi di Thc negli alimenti” e pubblicato in Gazzetta Ufficiale del 15 gennaio 2020 (n.11).

Nell’Allegato I (Art. 4, comma 1) vengono definiti gli alimenti derivati dalla canapa.

Essi sono i seguenti:

  • semi,
  • farina ottenuta dai semi,
  • olio ottenuto dai semi.

L’Allegato II (Art. 5, comma 1) fissa invece i limiti massimi di Thc totale.

Citiamo letteralmente dal Decreto: “I limiti massimi di THC totale sono definiti come la somma delle concentrazioni della sostanza -trans- Δ 9 -THC e del precursore acido non attivo (Δ 9 -THCA-A) . -trans- Δ 9 -THC: fra i 4 possibili stereoisomeri è quello esistente in natura. Il precursore acido non attivo (Δ 9 -THCA-A) rappresenta il 90% della somma delle concentrazioni della sostanza Δ 9 -THC e dei due precursori acidi non attivi (Δ 9 -THCA-A e Δ 9 -THCA-B)”.

Limiti massimi di THC totale

Sono stati previsti anche i limiti massimi di Thc che possono essere contenuti all’interno degli alimenti (mg/kg).

I semi di canapa e la farina ottenuta dai semi di canapa non possono ad esempio superare i 2,0 mg per chilo.

L’olio ottenuto dai semi di canapa, invece, può attestarsi su un massimo di 5,0 mg per chilogrammo, mentre gli integratori contenenti alimenti derivati dalla canapa si fermano a 2,0 mg per Kg.

La Legge sulla canapa

La Legge sulla cannabis legale in Italia è regolata dalla Legge 2 dicembre 2016, n. 242. e prevede la possibilità di coltivare la canapa con un THC inferiore allo 0,2% e che rientri nelle tipologie di semi previste dal catalogo europeo: diverse varietà di canapa definita industriale. È prevista però una tolleranza che arriva fino allo 0,6% per via del fatto che il THC può variare anche in base alle temperature e al concime. È la comunità scientifica che ha stabilito il limite massimo di THC a 0,6% e dichiarando che non ci sono effetti stupefacenti. 

Il dibattito è acceso perché la canapa è una pianta a basso costo con molti “pericolosi” usi nel campo industriale: produzione di carta, di combustibili, automobili, farmaceutico, tessuti.

La pianta di canapa ha però altre proprietà contenute nel CBD cannabidiolo: analgesiche, idratanti per la pelle,  ha effetti antiepilettici, antispasmodici e anticonvulsivanti.  

Già all’inizio dello scorso secolo in America è iniziata la demonizzazione di questa pianta. Riportiamo un video riassuntivo.


 

Il legislatore però lascia un vuoto e non chiarisce che è legale la vendita di prodotti a base di canapa e con THC sotto lo 0,6%. E visto che la Legge non ha neanche espressamente vietato si sono aperte possibilità commerciali nuove.

A chiarire oggi, dopo molte sentenze contraddittorie della Cassazione, arriva quella a Sezioni Unite e ha dato una risposta univoca e chiara.

Rileva infatti che “la commercializzazione di cannabis sativa L e, in particolare, di foglie, inflorescenze,olio, resina ottenuti dalla coltivazione della predetta varietà di canapa non rientra nell’ambito dell’applicazione della Legge 242 del 2016 che qualifica come lecita unicamente l’attività di coltivazione di canapa delle varietà iscritte nel catalogo comune delle specie di piante agricole, ai sensi dell’art 17 della direttiva 2002/53/CE del Consiglio, del 13 giugno 2002 e che elenca tassativamente i derivati della predetta coltivazione che possono essere commercializzati; pertanto integrano il reato di cui all’art 73, comma 1 e 4 del DECRETO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA 9 ottobre 1990, n. 309 le condotte di cessione, di vendita e, in genere, la commercializzazione al pubblico, a qualsiasi titolo, dei prodotti derivati dalla coltivazione della cannabis sativa L., salvo che tali prodotti siano in concreto privi di efficacia drogante.”

Sentenza Suprema Corte di Cassazione del 30 maggio 2019


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