Il fegato è un organo che svolge un ruolo molto importante all’interno del nostro organismo, perché ha una funzione digestiva e di filtraggio, partecipa al metabolismo degli zuccheri, produce la bile e demolisce le sostanze tossiche.
È situato appena sotto il diaframma, sulla parte destra dell’addome ed è costituito da due parti chiamate “lobi”, una più grande e una un po’ più piccola.
Le cellule epatiche che formano il fegato prendono il nome di epatociti: ognuna di esse vive all’incirca 150 giorni e sono ricche di vasi sanguigni, perché anche in condizioni di riposo deve arrivare molto sangue a questo organo (circa un litro e mezzo al minuto).
Date le funzioni svolte dal fegato, le malattie che lo possono colpire sono particolarmente pericolose per la vita del paziente. I principali disturbi epatici sono:
Come abbiamo già visto negli approfondimenti precedentemente pubblicati, i cannabinoidi estratti dalla pianta della canapa possono essere molto utili nella prevenzione e nella cura di numerose patologie, come la SLA, il morbo di Parkinson, la sclerosi multipla, il Covid-19 e nello sviluppo di carcinomi.
Che cosa dice invece la scienza sull’utilizzo della cannabis terapeutica e del CBD nei pazienti affetti da malattie epatiche? Cerchiamo di approfondire l’argomento riprendendo alcuni studi scientifici sull’argomento portati avanti nel tempo.
Già nel 2008 un gruppo di ricercatori del South Carolina pubblica un articolo in cui si evidenzia come i cannabinoidi endogeni (cioè prodotti dal sistema endocannabinoide presente nel nostro organismo) ed esogeni (cioè assunti dall’esterno) possono influire sullo sviluppo dell’epatite autoimmune.
I cannabinoidi naturali, come il THC e il CBD sono degli immunomodulatori e quindi hanno un potenziale terapeutico nel trattamento delle malattie infiammatorie. In questo studio sono stati analizzati gli effetti del THC somministrati a topi murini con epatite e i risultati sono stati sorprendenti: dopo la somministrazione intraperitoneale del cannabinoide c’è stata una significativa diminuzione degli enzimi epatici e una ridotta lesione del tessuto epatico. Grazie al THC e all’anandamide, cannabinoide endogeno, sono inoltre diminuite anche le citochine infiammatorie.
I dati raccolti da questo studio dimostrano che i cannabinoidi esogeni ed endogeni possono costituire nuove modalità terapeutiche per il trattamento dell’infiammazione epatica autoimmune.
Questo studio ha valutato il ruolo dei cannabinoidi endogeni sulla steatosi, ovvero sul cosiddetto fegato grasso. Innanzitutto agenti steatogeni come l’alcol e una dieta ricca di grassi possono andare anche a creare degli scompesi a livello del sistema endocannabinoide, sovraregolando l’attività dei recettori dei cannabinoidi 1 (CB1) e aumentando quindi la sintesi di alcuni endocannabinoidi, come il 2-arachidonoilglicerolo e l’anandamide.
Il fenomeno di sovraregolazione dei recettori CB1 innesca tutta una serie di fattori che possono culminare nello sviluppo del fegato grasso. Lo studio ha mostrato una correlazione tra la funzione del sistema endocannabinoidi e la steatosi: appare quindi chiaro che è necessario progettare farmaci per curare le malattie del fegato prendendo in considerazione l’utilizzo dei cannabinoidi.
Nel 2020, un gruppo di ricercatori francesi ha pubblicato uno studio per dimostrare come l’utilizzo della cannabis terapeutica riduca il rischio di sviluppare il diabete in pazienti affetti da epatite C (HCV).
Sulla popolazione generale, la ricerca ha già dimostrato i potenziali benefici dell’uso di cannabis per la prevenzione del diabete e dei relativi disturbi metabolici. Ma l’uso di cannabis è associato a un minor rischio di diabete nei pazienti con infezione cronica da epatite C?
Per questo studio sono stati coinvolti 10.445 pazienti con HCV e quelli a cui è stata somministrata la cannabis hanno dimostrato di avere una ridotta probabilità di sviluppare il diabete. Al contrario, hanno dimostrato di avere una maggiore tendenza a soffrire di diabete i pazienti:
In questo ampio studio trasversale su pazienti con infezione cronica da HCV, l’uso di cannabis è stato associato a un minor rischio di diabete indipendentemente dai fattori clinici e socio-comportamentali. Ma sono necessari altri studi per chiarire ulteriormente meccanismi coinvolti in questa relazione.
Un gruppo di ricercatori coreani ha portato avanti uno studio in cui ci si interroga sul ruolo del sistema endocannabinoide nella fisiopatologia dell’epatopatia alcolica, un processo infiammatorio che danneggia il fegato legato al consumo eccessivo di alcolici.
Gli studi negli ultimi 30 anni hanno stabilito i ruoli che gli endocannabinoidi e i loro recettori hanno in svariate malattie del fegato, come la steatosi, l’infiammazione e la fibrosi. Tuttavia si sa molto poco della correlazione tra cannabinoidi endogeni ed esogeni ed epatopatia alcolica.
I ricercatori coreani hanno quindi portato avanti un’operazione di revisione della letteratura scientifica sull’argomento, effettuando ricerche bibliografiche dal 1988 al 2021, da cui è emerso che:
Il meccanismo che causa questa correlazione rimane ancora incerto: si potrebbe ipotizzare che la cannabis assorbita possa attivare i recettori CB2 nelle cellule immunitarie o possa prevenire la fuoriuscita intestinale di endotossine.
Ad oggi sono necessari ulteriori studi per valutare più accuratamente questo processo e studiare un trattamento farmacologico a base di cannabinoidi per curare la malattia epatica associata all’alcol.
Per fare il punto, possiamo affermare con sicurezza che il sistema cannabinoide, i cannabinoidi endogeni e quelli esogeni entrano in gioco nello sviluppo delle malattie epatiche: è importante che la ricerca porti avanti altri studi per comprendere quali possono essere le reali potenzialità della pianta nella lotta a queste malattie.
Studio di ricercatori statunitensi pubblicato sulla rivista Molecular Pharmacology (2008)
https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/18388242
Studio di ricercatori statunitensi pubblicato sull’ American Association of Pharmaceutical Scientists Journal (2010)
https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC2844512/
Studio di ricercatori francesi pubblicato sul Journal of Viral Hepatitis (2020)
https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/32810343
Studio di ricercatori coreani pubblicato sulla rivista scientifica Alcohol Research (2021)
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