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L’efficacia della cannabis nella cura dei sintomi del Parkinson. Casi studio reali.

Oggi 11 aprile è la giornata mondiale del Parkinson. Una data scelta in omaggio alla nascita di James Parkinson, il medico inglese che nel 1817 descrisse per la prima volta la malattia.

Il Parkinson è una patologia neurodegenerativa che solo in Italia colpisce più di 230mila persone. Non è stata purtroppo ancora trovata una cura ma esistono delle terapie farmacologiche che si limitano a ridurre la sintomatologia. Queste però, sul lungo periodo, possono avere effetti collaterali o non portare ai risultati sperati. 

La natura ci viene in aiuto: è stato scientificamente dimostrato che la cannabis riduce i sintomi, motori e non, correlati alla malattia. Noi abbiamo ripreso alcuni studi, portati avanti da gruppi di ricerca in tutto il mondo, che hanno evidenziato come la terapia con i cannabinoidi gioca un ruolo fondamentale nella lotta al Parkinson.

Nella diretta di questa sera parliamo di casi studio reali con il dr Domenico Battaglia,

Ti aspettiamo lunedì 11 aprile, alle ore 19,00.


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L’efficacia della cannabis nella cura dei sintomi del Parkinson. Casi studio reali

Il Parkinson è una degenerazione neurologica graduale che può avvenire per vari motivi:

  • tossicità;
  • demielinizzazione (perdita di innervazione della sostanza nigra del cervello);
  • shock importanti. 

Anche un evento scioccante può infatti accelerare il presentarsi della malattia. Nei soggetti affetti da questa patologia si verifica un deficit della produzione di dopamina da quella zona del cervello, vicina alla ghiandola ipofisaria, che prende il nome di substantia nigra. Questa carenza causa un’alterazione del controllo fine dei movimenti degli arti ma anche della mimica facciale: crea dunque un danno neurologico.

Tra i sintomi più comuni nei soggetti affetti da Parkinson troviamo:

  • tremore agli arti superiori;
  • animia del viso (difficoltà nella mimica facciale);
  • rigidità muscolare agli arti inferiori.

L’ultimo punto porta spesso a complicanze, perché l’anziano che fa fatica a camminare a causa del Parkinson rischia di farsi male o peggio ancora fratturarsi o rompersi qualche osso. Il Parkinson non è una malattia mortale ma a causa della sua progressiva degenerazione si arriva a problematiche che possono portare ad un declino dell’individuo.

Parkinson e prevenzione

Si può evitare di ammalarsi in qualche modo? Purtroppo, non ci sono grandi possibilità di prevenire il Parkinson. Sicuramente però aiuta, come per tutte le patologie cronico-degenerative, condurre uno stile di vita sano e avere un’alimentazione povera di grassi animali saturi.

A questo proposito sono stati fatti anche degli studi (qui un esempio), che dimostrano come una dieta a base vegetale aiuti perfino i soggetti già ammalati a contenere i sintomi.

Anche un’adeguata attività fisica aiuta il tono muscolare e migliora il circolo dopaminergico, generando quindi un terreno sfavorevole alla comparsa della malattia. Si tratta comunque di una malattia determinata da una molteplicità di fattori ed è quindi molto difficile prevenirla. 

Ci sono poi vari livelli e gradi di problematiche parkinsoniani, anche un’alterazione della contrattilità vescicale può essere un sintomo.

Cannabis terapeutica, come agisce sul parkinson?

Innanzitutto, ricordiamo che con cannabis terapeutica si intendono infiorescenze o preparati galenici con un livello di THC più alto dello 0,6% concesso dalla legge per la libera commercializzazione. In particolar modo, per la gestione della sintomatologia parkinsoniana si utilizzano percentuali di THC del 20, 22 o 26%.

Dopodiché partiamo dal presupposto che il sistema endocannabinoide ha dei recettori chiamati CB1 e CB2 che sono distribuiti a livello del sistema nervoso centrale (CB1) e a livello del sistema nervoso periferico (CB2)

Questi recettori che rispondono alla somministrazione endogena di prodotti come l’anandamide o altri endocannabinoidi, ma nel momento in cui si ha una carenza di queste sostanze a causa dell’infiammazione che ha interessato anche la substantia nigra allora è necessario integrare con cannabinoidi proveniente dalla pianta di Cannabis. 

Questi vanno a interagire con i recettori centrali e periferici, modulando così la gestione della contrazione muscolare e del controllo fine dei movimenti. Infatti nei pazienti il tremore aumenta soprattutto nel momento in cui si compie un gesto preciso: i cannabinoidi possono essere d’aiuto nel paziente perché il THC in sinergia con il CBD crea i presupposti per:

  • ridurre l’infiammazione;
  • modulare la contrattilità muscolare.

Da un punto di vista pratico, la persona proverà quindi una minore sensazione di indolenzimento agli altri. Bisogna poi ricordare che non tutti i pazienti hanno gli stessi sintomi, di conseguenza i risultati con la terapia a base di cannabinoidi possono variare. Tuttavia i vantaggi ci sono sempre e questo ci fa ben sperare, speriamo che il loro uso diventi standard nei pazienti affetti dalla malattia.

Oggi per il Parkinson si usa la Levodopa, una sorta di integrazione della dopamina mancante, ma sul lungo periodo può risultare inefficace per il controllo della sintomatologia. Per questo motivo associare un prodotto a base di cannabinoidi potrebbe essere la soluzione per mitigare i sintomi e garantire una miglior qualità della vita al paziente.

Inoltre dobbiamo sempre tenere a mente che il Parkinson è una malattia che colpisce principalmente persone molto anziane, quindi un miglioramento dei sintomi nel paziente permette anche ai suoi famigliari o ai care giver di gestire al meglio malato, si semplificano le attività quotidiane.

Le persone affette da Parkinson sono solitamente ancora molto lucide e per la persona può essere davvero frustrante non riuscire a compiere più anche i piccoli gesti come mangiare o lavarsi. Per questo motivo la terapia con la cannabis può davvero fare la differenza e far riacquisire fiducia in sé stesso nel paziente, che potrà tornare a svolgere più facilmente le attività quotidiane.

Cannabis terapeutica: combattere i pregiudizi

Nonostante siano moltissimi gli studi scientifici che mostrano le evidenze dei benefici dell’utilizzo della cannabis terapeutica nei malati di Parkinson, solo una piccola percentuale di pazienti ne fa uso. Questo accade perché c’è purtroppo ancora un forte marketing negativo legato alla cannabis.

La cannabis nell’immaginario collettivo è ancora considerata una droga. Questa credenza riguarda soprattutto il THC quando in realtà si tratta di una sostanza che:

  • dà meno assuefazione della caffeina;
  • ha un bassissimo tasso di tossicità, una persona dovrebbe fare uso di kg di THC per intossicarsi;
  • ha un profilo farmacologico sicuro.

Ci sono molti medicinali più pericolosi e che danno davvero dipendenza (come gli oppiacei, per esempio), ma purtroppo alla maggior parte delle persone fa ancora più paura un prodotto a base di cannabinoidi e si affidano esclusivamente alle cure “tradizionali”.

L’unica soluzione, per uscire da questa situazione, è quella di fare informazione e aiutare le persone ad andare oltre le proprie credenze, a uscire dalla zona di comfort. Questo dovrebbero farlo anche i medici, ma purtroppo siamo molto lontani. In medicina oggi ci sono ancora tanti interessi economici che spingono, non vengono prese decisioni esclusivamente per il benessere dei pazienti.

La medicina odierna è fiera di essere riuscita ad allungare la durata della vita degli esseri umani, ma questo non basta! I farmaci e le cure dovrebbero essere anche uno strumento con cui migliorare la qualità della vita: vivere a lungo non significa automaticamente vivere bene. Questo concetto riguarda anche i malati di Parkinson, che hanno il diritto di conoscere tutte le possibilità esistenti per mitigar la sintomatologia della loro malattia e migliorare, di conseguenza, la qualità delle loro giornate.

Se sei interessato alle terapie con i Cannabinoidi, richiedi un consulto al Dott. Battaglia attraverso il nostro sito web.

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